SFERE



Caro amico,
L’altro giorno hanno aperto la testa a uno in Piazza Maggiore.
Un mattone.
La gente dice che forse i ragazzi stavano giocando in un cantiere. Sicuramente scommettevano su chi lanciava il mattone più lontano. Cose da ragazzi, chissà.
Quello che qualcuno vide fu il mattone volare ad un’altezza considerevole. Si dice che il mattone sibilava come un obice, tale era la velocità che aveva.
Andò a colpire la testa di Serafín Mendez.
Un colpo pulito. La testa si aprì come una scatola di sigari, con un leggero scricchiolio, senza sangue.
Alcune ragazze gridarono, un signore corse a soccorrerlo, ma Serafín fece un gesto leggero con la mano rifiutando l’aiuto e si sedette lentamente a terra.
I suoi pensieri cominciarono a sparpagliarsi in tutte le direzioni.
Sembrava impossibile che in una testa così piccolina ci fosse spazio per tanti pensieri.
Erano come biglie di vetro di differenti dimensioni, alcune grandi come il pomolo di una porta.
Rimbalzavano allegramente sopra il pavimento lastricato della piazza.
La gente, all’inizio, faceva dei piccoli salti per schivarle.
La piazza era piena, non so se sarò in grado di spiegarti , amico mio, il subbuglio che scoppiò.
Sergio, quello della panetteria, facendo sfoggio di riflessi fuori dal comune, reagì mirabilmente, prendendo un sacco di farina vuoto e avvicinandolo al povero Serafin.
Serafin, che sembrava sul punto di svenire, era più forte di quello che ci si poteva aspettare, assentì con la testa e stese le braccia per tenere il sacco ben aperto.
Fu lo stesso panettiere che iniziò a raccogliere i pensieri più vicini e lanciarli nel sacco.
Tutto il paese si mise al lavoro. La piazza sembrava un recinto di galline affamate. Tutti si chinavano e camminavano fino al sacco raccogliendo i pensieri del Sera per la strada. Si poteva guardare dentro le biglie. In ognuna c’era un pensiero dell’infortunato. Lo schiaffo che gli dette il maestro senza ragione, l’altro schiaffo che gli diede con ragione, il suo primo bacio, l’abbuffata che si fece grazie ad una scommessa…
Il Sera teneva il sacco e ringraziava per ogni biglia con un lieve inclinare della testa aperta in maniera così netta e pulita.
Ad ogni inclinarsi della testa una manciata di pensieri usciva fuori dalla sua testa. Don Augustín, il dottore del paese, non sapeva che fare, non aveva mai visto nulla di simile nei suoi cinquanta anni di professione, però ebbe la prontezza di sedersi dietro al Sera e afferrargli il cranio con entrambe le mani, chiudendolo il meglio possibile premendo con i pollici per evitare un’ulteriore perdita di pensieri.
Si dice che la Justi, la ragazza più bella del paese, prese un pensiero per gettarlo nel sacco e lo guardò prima di lanciarlo. Era il ricordo di un’orribile fitta di dolore dovuta a una delusione amorosa. Si sa come sono dolorose queste situazioni.
Tanta tenerezza toccò il cuore della bella ragazza che prima di lanciare la biglia nel sacco, già era perdutamente innamorata del Sera. Questo è quello che raccontano.
Fortunatamente la Justi col tempo finì col riacquistare la ragione, in parte grazie ai consigli delle amiche che raccontavano di aver visto altri ricordi del Sera meno innocenti e in parte per la perseveranza del Dioni che finì per conquistarla.
Chi più chi meno, tutti guardarono dentro qualche pensiero del Sera, un po’ di nascosto…perché era evidente che fosse una cosa molto intima. Alcuni si resero conto che quanto più lontano si trovava il pensiero dal sacco, tanto più tempo avevano per curiosare nei ricordi del vicino.
Il buon Nicomedes, che mai, mai era uscito dalle regole e godeva della più candida reputazione in paese, guardò dentro un pensiero pieno di adolescenziali carezze peccaminose e perse il controllo.
Usci correndo dalla piazza con la sfera e alcuni giovani lo raggiunsero all’arco della Stella e lo portarono di corsa fino al sacco. Nicomedes gettò la sfera piangendo come un bambino.
Sergio, il panettiere, dovette andare correndo a cercare un altro sacco, e un terzo che si riempì fino a metà.
Quando non rimasero più sfere nella piazza, alcuni trasportarono il povero Sera e altri si fecero carico dei sacchi. Tutto il paese in processione fino alla Casa del Soccorso.
Tanto il tirocinante che l’assistente convennero con Don Augustín, il dottore, di non aver mai visto nulla del genere.
Tutto il paese aspettava sulla porta della Casa del Soccorso. L’infermiere usciva di quando in quando raccontando che le cosa procedeva bene, che era entrato un sacco, che ne era entrato un altro e ogni notizia era accolta con un mormorio di soddisfazione.
L’intervento durò tre rosari completi. Nella testa del Sera entrarono tutte le sferette e rimase pure spazio per una calcolatrice tascabile, cosa che ebbe un buon risultato perché il buon Sera dimostrò di lì a pochi giorni di poter fare divisioni a otto cifre a mente.
Lo ricucirono con una tecnica molto moderna di chirurgia plastica che gli lasciò una cicatrice molto fine che nascondeva perfettamente pettinandosi con la riga sull’altro lato.
In otto giorni il buon Serafín tornò a passeggiare in Piazza Maggiore, come sempre.
Però non era proprio come prima. All’improvviso tutti avevano qualcosa di cui parlare con lui. Tutti cercavano di fare conversazione con lui.
Ma il Sera non parlava quasi per nulla. Si limitava a rispondere alle domande che gli facevano, a monosillabi, quando tutti si aspettavano una chiacchierata lunga e intima.
La gente commentava: che succede a Serafín? Non si è rimesso bene? Non si è fatto in quattro il paese quando lui ha avuto dei problemi?
Si incaricò Valentín, amico del Sera da sempre, di quelli di fiducia, quelli veri, affinché parlasse con lui. Stettero seduti sulla panchina per tre quarti d’ora.
A quanto pare il Sera disse che sentiva come se gli mancassero dei ricordi, non sapeva quali o quanti, e che sospettava che qualcuno del paese se li fosse tenuti, non sapeva per quale motivo ne’ per fare cosa.
Tutti si misero le mani nei capelli. Il Sera non sa quello che dice. Qui va a desiderare quello che non è suo?
Chi avrebbe il coraggio di rubare una cosa così intima in un paese così onesto. Evidentemente il Sera non era tornato a posto con la testa.
Però successe quello che nessuno si aspettava. Al calar della notte, il vecchio Tomás, con i suoi novantadue anni, fece scalpore avvicinandosi alla casa del Sera per consegnare una sfera.
Era il ricordo di una sbronza durante la naia, a Melilla.
Serafín lo ringraziò e accettò le scuse del vecchio, però proseguì con il suo atteggiamento brusco, a quanto pare continuavano a mancare ricordi.
Il Sera continua a passeggiare per la piazza e tutti vogliono parlare con lui riguardo a questo o quel ricordo, però nessuno osa. Lo sguardo ogni volta più cupo di Serafín Mendez mette tristezza e fa paura.
Ora, caro amico, veniamo a me. Questo è confidenziale.
Io misi piede su una sferetta, non so se casualmente o intenzionalmente, una piccola sferetta che raccolsi di nascosto e custodisco in tasca.
La verità è questa.
Non è nulla. E’ un ricordo molto piccolo di una guancia di bambino appoggiata sul seno di donna, un seno enorme con un capezzolo roseo e tiepido.
Solo questo.
Lo guardo di quando in quando, sempre quando sono solo. Poco a poco lo sto facendo mio.
Non posso restituirlo, nemmeno mi passa per la testa.
Se non lo restituisco lo rubo al Sera. Se lo restituisco lo rubo a me.
Sono una persona cattiva? Ho scelta, fratello? Sono domande retoriche, non devi rispondere.
Ormai ho già deciso, ne farò un portachiavi.
Questo è tutto, un abbraccio.

Bernardino


Traducción : Nicoletta Bemporad.

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